

La trappola del perfezionismo
Oggi ho rispolverato un Ted Talk di qualche anno fa in cui il dr. Thomas Curran spiega con chiarezza come il perfezionismo impatti sulla salute mentale, soprattutto dei più giovani. (Quando hai a disposizione circa 15 minuti ti suggerisco di dargli un’occhiata. Qui lo trovi sottotitolato in italiano.) E questo mi ha dato lo spunto per scrivere alcune riflessioni sul perfezionismo.
Il perfezionismo può essere molto dannoso per la nostra autostima, può mettere a dura prova le nostre relazioni e può portare anche a problemi di salute (nel mio caso, ad esempio, aveva portato alla sindrome da colon irritabile).
A volte ci illudiamo che il perfezionismo ci spinga a dare il meglio di noi e a impegnarci al massimo, tuttavia, in realtà, fa più male che bene. Perché non ha tanto a che fare col perfezionare un lavoro o una prestazione, quanto piuttosto col perfezionare il nostro Sé imperfetto. È un insieme di schemi mentali che ci spingono a cercare di raggiungere obiettivi irrealisticamente elevati.
L’ambizione e la ricerca del successo sono sane. Il desiderio di migliorare e di lavorare per sviluppare le proprie capacità sono legittimi. È che le persone perfezioniste non sono mai (e dico mai) soddisfatte di ciò che ottengono. Quando una cosa non è perfetta, la respingono (pensiero tutto o niente). E non sono guidate dal senso di autoefficacia ma da paura del fallimento, dubbi, insoddisfazione e infelicità.
Esternamente sembriamo molto funzionanti, ma internamente siamo un casino. Il senso di autostima è così intrinsecamente legato ai nostri successi che alla minima debolezza finiamo per sentirci un enorme fallimento. A volte sembriamo anche esagerate, se in apparenza facciamo un dramma perché non riusciamo a superare delle cose apparentemente banali.
Spesso sviluppiamo una certa tolleranza allo stress e possiamo fare fatica a riconoscere i segnali dell’ansia. Quando ho iniziato la mia terapia personale, ho capito che avevo lottato con l’ansia per molto tempo, ben prima di sapere cosa fosse. Come sarà capitato a molte di noi, avevo imparato che se una sensazione non è “positiva”, non è accettabile. Quindi ho nascosto per anni tutte le sensazioni “negative” che non dovevo avere: paura, rabbia, gelosia e tristezza. E dato che sono una persona sensibile, negli anni ho avuto un bel po’ di cose da trattenere, sopprimere, negare o proiettare.
È stato difficile chiedere aiuto. In parte per il senso di vergogna e in parte perché dirlo a voce alta infrangeva l’illusione di avere tutto sotto controllo. La verità è che avevo paura dei miei sentimenti. E non sapevo di avere dei bisogni.
Piuttosto che osare mostrare i miei sentimenti e bisogni, usavo il perfezionismo per fingere che fosse tutto a posto. Il perfezionismo mi faceva sentire uno schifo, ma non potevo ammetterlo perché sarebbe stato riconoscere un problema.
Adesso, grazie alla terapia, mi sono data il permesso di essere umana. Ora so che posso parlare delle mie difficoltà, mostrarmi nelle mie imperfezioni e, addirittura, ridere di me stessa. E so che tutto questo rende la mia vita molto più semplice.
Ecco tre cose che avrei voluto sapere prima:
- La perfezione non è raggiungibile perché non è quantificabile. Che cos’è la perfezione? Dove finisce? Non si sa, è questo il problema. È qualcosa che ho continuato a impostare per me stessa, uno standard arbitrario che pensavo di dover soddisfare. Ma una volta ottenuta una cosa, stavo già cercando quella successiva.
- L’ansia sembra molto reale, ma è solo una sensazione. Se hai sperimentato l’ansia sai quanto possa essere terribile. Per me è un battito di cuore, una vertigine, un respiro corto, un sudore freddo, una stretta allo stomaco, un viso arrossato e una sensazione di paura. L’ansia è una risposta allo stress. È fisiologica, non c’è niente di cui vergognarsi. È il nostro cervello che dice al nostro corpo che crede che ci sia una situazione pericolosa. Ma la paura di non essere all’altezza non è un leone affamato che corre verso di noi. Ricordarci, ogni tanto, che non c’è un leone, e quindi nessun pericolo reale nell’immediato, può essere utile.
- Immaginare il peggio in goni situazione non è così utile come pensiamo. Andare direttamente allo scenario peggiore può sembrare utile. Ad un certo livello, crediamo che se possiamo pianificare il peggio, saremo preparate per questo. Ma nella realtà dei fatti, questo crea molta ansia inutile riguardo a possibilità improbabili (anche estremamente improbabili). Per esempio, dei pensieri poco utili, che avrei potuto fare prima, possono suonare più o meno così: “Se questo colloquio va male non lavorerò. Sarà un disastro. Significa che sono una fallita. Le persone saranno deluse da me. Sicuramente penseranno male di me.” Dei pensieri più utili invece potrebbero essere: “Se questo colloquio va male mi dispiacerà, ma ci saranno altre occasioni. Forse potrei cercare un lavoro diverso. O forse potrei ricordare che sto facendo del mio meglio e questo è abbastanza.”
Scoprire cosa alimenta la nostra ansia, imparare a gestirla in modo diverso e essere in grado di estendere la compassione a noi stesse è un viaggio. Ovunque tu sia con il tuo, spero che qualcosa qui faccia la differenza per te.
[In sottofondo Cosmo, Quando ho incontrato te]